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domenica 9 gennaio 2011

Capitolo 1 – L’uomo

Primo capitolo di un piccolo racconto senza pretese dal titolo "Dogma", scritto un paio di anni fa in uno slancio produttivo.



Immagine presa da http://metaforum.it e modificata


Lentamente avanza nella natura. Con cautela scosta i rami dei rovi e le erbe più alte con un movimento ampio del suo braccio, nell'altra mano tiene stretta la sua arma.
La notte senza luna è un'unica cappa omogenea puntellata di stelle da un estremo all’altro dell’orizzonte. Un lieve venticello solletica le foglie e fa sfregare tutto, ubriacando le orecchie con fruscii e rumori. Una temibile insidia per chi è attento e all’allerta.
Si ferma e osserva accovacciato. Scosta i lunghi capelli dagli occhi e guarda in torno a se tutti i tipi di nero che lo circondano: nero l’albero solitario poco avanti a lui, nero il colle in lontananza, nera la terra sulla quale cammina, neri i capelli e la barba del suo viso. A separare ciò grigio in molteplici tonalità: l’erba, le piante più vicine ed ogni insidiosissima foglia rumorosa.
Rassicurato da quel paesaggio quasi immobile, si grattò ruvidamente la mandibola e riprese la sua lenta marcia nella natura.

Ed ecco affiora fra i rami l’apice della roccia che cercava. Si ferma nuovamente e guarda.
Calcola la distanza che lo divide da essa, controlla gli alberi e gli arbusti nei quali potrà trovare un temporaneo nascondiglio e lentamente si muove, fluida macchia grigia nella vegetazione.
Arriva finalmente a riparo dell’ultimo cespuglio in un ennesimo piccolo scatto partito dal suo precedente rifugio, si rannicchia, la visuale è agevole. Da qui è possibile contemplare nella sua interezza il palcoscenico su cui attuerà il suo semplice piano.

Chiara nella notte, quasi bianca a confronto del cielo, si ergeva la roccia. Una forma insulsa, simile al nocciolo di una ciliegia, non era altro che questo per lui. Anche se alta tre o quattro volte la sua statura non si sentiva affatto intimorito perché i suoi dei erano con lui. Può un adoratore dei monti averne paura? Non era altro che una piccola copia irriverente di essi.
Alla base della roccia sostava la sua preda, un’esile figura livida, un ragazzo, figlio degli adoratori della roccia. Nudo, leggermente ricurvo, il peso degli arti superiori riversato su una lancia.
L’uomo strinse la sua arma nella mano e ripassò nella mente le sue prossime azioni.

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